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ALLOCUZIONE
AD SUPREMUM
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO VII

 

Il Papa Pio VII. Venerabili Fratelli.

1. Chiamato dai vostri suffragi, per imperscrutabile giudizio di Dio, al supremo governo della Chiesa, ascendemmo al Pontificato non senza grave turbamento dell’animo Nostro. Infatti se ognora, anche in tempi propizi alla Chiesa, l’episcopato si risolse in un gravoso impegno, quale mai riteniamo possa essere in futuro, in tempi ostili, turbolenti e difficili?

2. Quali tempi stiamo attraversando? Il Nostro animo trema nell’affrontare i doveri del supremo Pontificato e nel considerare contemporaneamente la difficoltà dei tempi Nostri. Conosciamo quale missione debba svolgere il Pontefice per la protezione e la salute del gregge cattolico; non sappiamo in che modo la si possa prestare mentre imperversano la più sfrenata licenza, la repressione di ogni diritto sia umano, sia divino, il disprezzo del sacerdozio e la presente cattività della Chiesa. Queste sono le realtà che agitano e sconvolgono il Nostro animo e che non Ci consentono di essere sereni, assillati come siamo, notte e giorno, dal pensiero di un incarico tanto gravoso. 

3. Tuttavia voi Ci avete eletto al supremo governo della Chiesa proprio in questi tempi? Ci avete giudicati in grado di pilotare la navicella di Pietro nel mezzo di tempeste che infuriano ovunque e in grado di sostenere con le Nostre forze questo peso di cui «avrebbero un sacro terrore anche spalle angeliche»? Ma in quale schiera Ci avete scelto? Certamente in quella nella quale a stento si troverebbe qualcuno che in questi tempi, per la sua ammirevole fede nel servire la Chiesa, fosse ritenuto non solo il più forte, in grado di sopportare il saccheggio dei beni, il carcere, l’esilio, gli acerbissimi pericoli di morte e perciò fosse «oggetto di meraviglia per il mondo, per gli angeli e per gli uomini, nel nome di Cristo»; qualcuno che fosse non solo degno di tanto onore, ma anche assai più idoneo di Noi nel sostenere un tale fardello, con somma gloria e sicurezza della Chiesa.

4. Quali furono dunque le vostre decisioni? Avevate a disposizione uomini sapientissimi cui affidare la Chiesa in tanto imperversare di procelle. Perché avete voluto affidarla a un insipiente? Avevate a disposizione uomini santissimi. Perché avete scelto un peccatore? Forse che la Nostra debolezza, da tutti riconosciuta, sfuggì talmente alla vostra perspicacia, che in un caso così evidente, voi soli non vi siete accorti di nulla? Forse che quello spirito che illumina e che indica chi eleggere si assentò da Voi, mentre cadeva su di Noi la vostra scelta? Certamente non fu così, lo diciamo con fiducia, Venerabili Fratelli, e lo diciamo non a gloria Nostra, ma di Dio. Fu presente, fu presente Iddio alle santissime vostre menti e Noi fummo i soli che voi dovevate in ogni caso scegliere. Perché? Perché ai vostri occhi sicuramente non apparivamo degni, ma agli occhi di Dio apparivamo fra tutti i più deboli. E Dio, per confondere la superbia dei forti, nel governare la sua Chiesa si avvale sempre dei consigli dei deboli. In verità, quanto più sono fragili i mezzi di cui Egli si serve, tanto più appare evidente che la Chiesa ha radici in cielo (come insegna Crisostomo) e che Dio la protegge ovunque.

5. Richiamate alla memoria, vi prego, quali furono gli inizi della Chiesa nascente. Se pertanto in quei primi tempi il pescatore Pietro e pochi apostoli, chiamati dalla oscurità della Galilea alla luce degli uomini per annunciare la Chiesa, sotto la guida di Dio, tanto fecero che la loro voce si diffuse per tutta la terra; deve essere visto come straordinario ma non certo nuovo il fatto che in questa isola fu offerto un rifugio anche a Noi che, spogliati di tutto, chiedevamo di provvedere alla Chiesa dopo un lungo infuriare di tempeste, e ciò per mirabile provvidenza di Dio e per concessione dell’Augusto Imperatore (dal quale speriamo di ottenere nulla che non giovi alla difesa e alla grandezza della Chiesa); dal Monastero di quell’Ordine, alle cui santissime regole Noi fummo educati, siamo stati chiamati a reggere la Chiesa in modo che, quanto più siamo fragili, tanto più chiaramente dimostreremo che essa non è governata da Noi ma da Dio.

6. Dunque sarà Dio a reggere la Sua Chiesa. Che siamo Noi? Se non fossimo sicuri della protezione di un così grande Reggitore, consapevoli della Nostra debolezza, acquiescenti alla Sua sola provvidenza, non Ci prenderemmo alcuna cura del gregge cristiano? Anzi, tanto più saremo operosi quanto più Ci riconosciamo deboli, e serviremo la Chiesa come se nulla dovessimo sperare o aspettarci dalla provvidenza divina. Forse che pretendiamo di dominare una realtà così complessa, così grave, così pericolosa, con le sole Nostre forze? Ma in che modo potremo sostenere da soli tanto affanno, tanta mole di doveri, se voi, Venerabili Fratelli, non sarete a Nostra disposizione con il vostro aiuto? 

7. Voi comprendete quanto sia infelice la condizione del mondo cristiano. Voi vedete di quanti soccorsi, in tanta corruzione di costumi, abbia bisogno, per la propria salvezza, il gregge cristiano. Voi dunque, che in gran parte per età e per sapienza Ci sovrastate, soccorreteci (ve lo chiediamo per amore del Signor Nostro Gesù Cristo); soccorreteci con i vostri consigli; fateci conoscere che cosa occorra sradicare, o piantare o distruggere o edificare; alleviate con le vostre forze il peso che imponeste sulle Nostre spalle. Santamente vi promettiamo che in ogni tempo Ci riusciranno assai graditi la vostra opera, i vostri consigli, i vostri aiuti.

8. Può bastare tutto ciò? Certo è quanto basta ad aiutarci: ma non basta alla gloria della Chiesa, alla promozione del mondo cristiano. La Chiesa, Venerabili Fratelli, ha bisogno dei Nostri buoni esempi. In questi ultimi anni il sacerdozio ha ricevuto profonde ferite e con quanta sua gloria non è il caso di ricordare. Forse in nessun altro tempo precedente la Chiesa fu nobilitata da altrettanti trionfi di tenaci lottatori. Per non rievocare, tra questi, i vostri ammirevoli campioni, basti il ricordo del santissimo Padre e Nostro predecessore, che per il gran peso degli affanni sopportati in nome di Cristo raggiunse gloria immortale. Quanta fu la sua fede! Quanta la sua fermezza! Quale la sua costanza! Non solo nel difendere la Chiesa, ma anche nell’andare incontro alla morte, per essa, in tanti pericoli, tribolazioni e dolori! Non possiamo ricordarli senza essere sospinti ad ogni virtù, alla pazienza, alla generosità d’animo.

9. Riterremo dunque che questa piaga così grave e dolorosa sia stata inflitta alla Chiesa, da Dio, senza un arcano disegno della divina provvidenza? Quel Sapiente a Noi chiede la fede e la perseveranza del sacerdozio, al fine di ostentare a tutto l’orbe terracqueo i grandi vantaggi raggiunti in questa Nostra tribolazione; così che tutti comprendano che non nelle ricchezze, di cui fummo spogliati; non nel fasto che produsse contro di Noi l’odio e le calunnie dei nemici; non in tutte le altre manifestazioni che si addicono ai profani assai più che ai seguaci di Cristo; ma piuttosto nel disprezzo delle ricchezze, nell’umiltà, nella modestia, nella pazienza, nella carità e infine in ogni dovere sacerdotale è raffigurata l’immagine del Nostro Creatore e si conserva l’autentica dimensione della Chiesa.

10. È il momento di concludere. Venerabili Fratelli, ben sappiamo quanto, a vostro giudizio, sia da ascrivere alla Nostra fragilità, e quanto dobbiamo a voi; confidando nell’aiuto divino e nei vostri consigli, Ci sforzeremo di restituire e di compiere con ogni zelo e con la fede ciò che dobbiamo. Preghiamo dunque Dio perché Ci assista nei Nostri propositi, e con la Sua grazia faccia sì che quanto più è manifesta a tutti questa Nostra debolezza, tanto più evidente risplenda e si ammiri nel governo della Chiesa la Sua divinità.



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