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BREVE
CONSTANTIAM VESTRAM
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO VI

 

Ai Venerabili Fratelli Arturo Ricardo, Arcivescovo di Narbona; Giovanni di Dio Raimondo, Arcivescovo di Aix; Lodovico Francesco, Vescovo di Arras; Giuseppe Francesco, Vescovo di Montpellier; Giovanni Francesco, Vescovo di Lione; Emmanuel Luigi, Vescovo di Perigueux; Pietro Agostino, Vescovo di Auranche; Enrico Benedetto, Vescovo di Usez; Agostino Renato, Vescovo di Treguier; Seequeleo, Vescovo di Rodez; Carlo Eutropio, Vescovo di Nantes; Filippo Francesco, Vescovo di Angoulême; Antonio Eustachio, Vescovo di Comminges; Lodovico Mattia, Vescovo di Troja.

Il Papa Pio VI. Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Tutto il mondo ha ammirato la Vostra costanza nel conservare l’unità della Chiesa e nel soffrire tanti travagli per la Fede Cattolica, e Noi, nel pastorale ufficio del Nostro Apostolato, abbiamo sempre cercato di rinvigorirla, non con una, ma con molte testimonianze della Nostra paterna sollecitudine. Infatti nessuna vostra lettera giunse a Noi, senza che da Noi non sia sempre stato ordinato da rispondere, in maniera da farvi comprendere contemporaneamente quanto ammirassimo la vostra virtù, da quanto dolore fossimo angustiati per le gravissime tribolazioni dalle quali eravate colpiti e quanto ardentemente ci adoperassimo per consolarvi, per confortarvi con la virtù del Nostro Signore Gesù Cristo e per incoraggiare i vostri animi.

Se vi fu mai espresso prima d’ora l’amor paterno che nutriamo per Voi e per gli altri invitti Confessori della Fede, Nostri Venerabili Fratelli, molto più crediamo di dovervelo significare ora, poiché vediamo che Voi, quasi dimentichi delle grandi e durevoli sciagure, vi trovate in tanta afflizione e in tanto timore a causa di esse, in forza delle quali Dio, per sua somma misericordia, Ci ha resi degni di operare la Nostra salvezza. Tuttavia, se nel Nostro pericolo temete un rischio per la Chiesa, Noi lodiamo sì la Vostra sollecitudine ma comprendiamo anche la violenza di quella tribolazione dalla quale siete oppressi e che fa sì che, secondo le tante promesse di Dio, la Chiesa non verrà mai meno: tuttavia, affinché nel Nostro pericolo non abbiate a preoccuparvi del pericolo di essa, sappiate che attraverso le tribolazioni la Chiesa fiorirà sempre più in futuro. Se i Nostri patimenti Vi danno pena per il travaglio da cui pensate che l’animo Nostro sia tormentato in questo esilio, siamo grati alla Vostra carità verso di Noi; tuttavia Vi scongiuriamo con l’Apostolo: «Non angustiatevi per Noi, non perdetevi d’animo per le nostre tribolazioni» (Ef 3,13). Infatti non può accadere che, pur in mezzo a tante avversità, veniamo distrutti da qualche angoscia, poiché sappiamo che non può esservi in nessuna cosa tanta gloria quanto in questi travagli dai quali, con il permesso di Dio, siamo colpiti.

Parlando di gloria, non intendiamo quella che da Dio è promessa a coloro che, scacciati, spogliati, vilipesi, ingiuriati dagli uomini patiranno persecuzione per il nome di Cristo; costoro, senza perdere neppure un capello del capo, avranno in cielo una copiosa mercede, e nemmeno parliamo di quella gloria che ben sapete essere riservata a coloro la vita dei quali ora è giudicata follia e la morte disonorata: tuttavia avranno il loro posto fra i santi e saranno annoverati fra i figli di Dio; ma parliamo di quella gloria di cui Dio ci ricolma in questo medesimo tempo, nel quale, soffrendo tante sciagure e tante contumelie, siamo divenuti spettacolo al mondo, agli Angeli e agli uomini per amore di Cristo.

Infatti, anche se la mano del Signore è così pesante sul Nostro capo per riprenderci e castigarci, che cosa di più glorioso per Noi di questa tribolazione? Sebbene noi siamo giustamente afflitti per i nostri peccati, tuttavia per mezzo delle afflizioni conosciamo assai bene di essere amati da Dio e, ancorché peccatori, di essere riconosciuti come figli da quel sommo amorosissimo Padre della misericordia, come dice l’Apostolo: «Dio flagella e castiga colui che egli ama; flagella anche il figlio». E se per mezzo di questa tentazione, alla quale Dio permette che Noi siamo sottoposti, vuole sperimentare la Nostra Fede e la Nostra perseveranza, quanto grande del pari è la Nostra gloria? Infatti, per mezzo di questa tentazione possiamo sperare, nonostante la Nostra indegnità, di non essere discari ma accetti a Dio, dato che leggiamo: «Come col fuoco si prova l’oro, così si provano gli uomini accetti nella fornace della tentazione (né ciò col proposito che ci perdiamo nella tentazione), ma affinché la prova nella Nostra fede divenga più preziosa di quell’oro che si prova col fuoco».

Con questo pensiero, Venerabili Fratelli, Dio consola mirabilmente e rinvigorisce la Nostra debolezza, tanto che non solo sopportiamo le presenti tribolazioni, ma desideriamo poterne sopportare altre di gran lunga maggiori; per la giustizia e per Cristo dobbiamo sopportarle e dobbiamo esercitarci perché, come figli non discari a Dio, tutti questi sacrifici non sono diretti alla perdizione della Nostra anima ma alla Nostra correzione e alla Nostra confermazione.

Se poniamo mente non solo al Nostro «particulare» ma anche al comune vantaggio della Chiesa, Ci manca forse il modo con il quale animarci a sostenere queste calamità non solo con grande rassegnazione, ma anche con gaudio e con rendimento di grazie? Voi Non siete tali, Venerabili Fratelli, ai quali si debba insegnare da parte Nostra quanto siano stati alieni, anzi contrari all’umana ragione, i principi sui quali fondò la Chiesa (e la estese a quel grado di ampiezza cui, con stupore, la vediamo giunta) Colui che per dimostrare la forza della sua onnipotenza scegli le cose deboli per confondere le forti. Voi ben sapete come Egli volle che dalla Croce e dai supplizi la Chiesa avesse inizio; dalla contumelia la gloria; dalle tenebre degli errori la luce; dal conflitto gli accrescimenti; dalle perdite e dalle stragi la stabilità; essa non fu mai più gloriosa di quando gli uomini si sono sforzati di oscurarla; né mai più sicura di quando, in mezzo alle più funeste procelle delle persecuzioni, fu con maggior pericolo percossa dai suoi nemici. Perciò dai Santi Padri essa è stata paragonata con ragione a quell’Arca di Noè, che tanto più sicuramente si sollevava sulle onde del mondo naufragante quanto più sembrava agitata e minacciata di affondare per la violenza di piogge e di venti sempre più furiosi. Vi è noto altresì che, travagliata senza tregua per trecento anni, dopo aver sopportato rapine, contumelie, carcere, catene, esilii, tormenti, incendi e carneficine, aspersa del sangue di quasi tutti i Pontefici, di Vescovi e di innumerevoli Martiri, con la sua fede, con la sua tolleranza, con la sua mansuetudine stancò la crudeltà dei tiranni, estinse la superstizione e, vincitrice da un mare all’altro, dilatò la gloria della Croce e fece sì che i confini della Religione fossero quegli stessi che ha l’orbe terracqueo. «La fede della Chiesa – scrisse Sant’Ambrogio – non vinse le popolazioni feroci, né nei conflitti bellici fugò le torme ostili con la spada, ma con la mansuetudine e con la fede sottomise le terre dei nemici. Infatti solo la fede combatté e per questo meritò i trionfi perché la Chiesa non viene vinta dalle persecuzioni, ma ne trae accrescimento».

Voi sapete che quanto avvenne nei primi tempi per fondare e propagare la Chiesa è lo stesso che avvenne nei tempi successivi per darle lustro e per ampliarla. Sono ben note a tutti quelle sacrileghe guerre degli eretici contro la Chiesa; sono note le esecrabili crudeltà, noti gli od” e noti i violentissimi assalti con i quali quei crudelissimi nemici si sono sforzati di infrangerne l’unità, violarne l’integrità, pregiudicarne la maestà; certamente, se la Chiesa potesse perire per le frodi o per le violenze degli uomini e dell’inferno, tutti gli eccidi sarebbero per lei motivo di preoccupazione. Ma di quanti ornamenti non sarebbe ora priva la Chiesa se non fossero nate quelle terribili guerre e quelle implacabili contese che si proponevano di sradicarla? Allora s’incrudelì anche col ferro, col fuoco, coi ceppi, con le rapine, con le proscrizioni, con i supplizi in generale contro i Cattolici e in particolare contro il Sacerdote. E con ciò? Quale vantaggio poterono riportare contro la Chiesa e contro la sua dottrina quei nemici acerbissimi? Quanto decoro, invece, dalla costanza di tanti Confessori? Quanta luce si aggiunse alla Chiesa dalla sapienza di tanti Dottori? Tanta certamente, quanta non ne avrebbe mai avuta se non fossero sorte quelle contese con il proposito di oscurarla. Voi conoscete le parole di Sant’Agostino: «Contro la Chiesa combatterono gli Eretici, e con le loro questioni turbarono la Chiesa. Ma i fatti che erano occulti si sono rivelati e la volontà di Dio fu compresa. Molti che potevano intendere e approfondire le Scritture se ne stavano sconosciuti fra il popolo, né fornivano le soluzioni delle questioni difficili mentre nessun calunniatore si placava. Perché non si era mai avuto un trattato perfetto sulla Trinità prima che gli Ariani latrassero? Perché non si era mai avuto un trattato perfetto sulla Penitenza prima che i Novaziani si opponessero? Così non si trattò mai compiutamente del Battesimo prima che i ribattezzanti scacciati obiettassero. Nemmeno sulla stessa unità di Cristo erano state chiarite le cose che si dissero se non dopo che quella separazione incominciò a sollecitare i fratelli infermi, in modo che coloro i quali sapevano trattare e dipanare queste cose non scomparissero, vinti dai discorsi e dalle dispute degli empi, ma chiarissero in pubblico le oscurità della legge».

A che proposito, Venerabili Fratelli, scriviamo a Voi queste cose? Non certamente per istruire Voi, dei quali abbiamo sempre ammirato la costanza, la fede e soprattutto la singolare sapienza, ma perché ricordando con Voi cose tanto meravigliose Ci consoliamo Noi stessi, e contemporaneamente, deposto ogni affanno per tutte le avversità che soffriamo, Ci ripromettiamo anche tutti quei beni che sempre derivarono alla Chiesa dalle avversità; e Ce li ripromettiamo tanto più ampi e ubertosi quanto più grave ed acerba è questa tribolazione rispetto a tutte quelle che mai siano state in passato e dalle quali sappiamo essere stata sconvolta una volta la Chiesa.

E invero, come mai pensiamo ai beni futuri della Chiesa quando già godiamo dei presenti? Sono essi forse così piccoli o così pochi che non possiamo conoscerli? Per certo se da queste tribolazioni dalle quali siamo oppressi vedessimo che la Chiesa, in questo così grandioso sconvolgimento del mondo Cristiano, non ha conseguito altro che quella separazione Evangelica della zizzania dal buon grano, delle paglie dal frumento (come da gran tempo da tutti i buoni si desiderava per la sua salvezza); se non si fossero manifestati coloro che, essendo nell’intimo lupi rapaci, se ne stavano nascosti nella Chiesa, vestiti di pelli d’agnello, e non potevano tendere apertamente ad essa quelle insidie che occultamente macchinavano; se questi mali non fossero sopraggiunti, la loro malizia e la loro frode sarebbero sempre rimaste fra Noi nascostamente per tentare la santità della Chiesa e per depravare i costumi dei buoni. Non deve essere considerato di poco conto siffatto vantaggio della Chiesa? Che dire poi di quella perversa sapienza, per i funestissimi frutti della quale quasi tutto il mondo è perito, ed è stato una buona volta conosciuto ciò che (nonostante il Nostro e Vostro gridare) non si volle intendere dagli uomini? Che pretende, quella sapienza che tanto si estende e signoreggia, e per colpa della quale tutti i popoli deviarono dal retto sentiero? Usurpando il nome della Filosofia, essa non si offre come maestra di Religione e di virtù, il che sarebbe proprio della Cristiana e vera sapienza, ma si rivela artefice di ogni empietà, licenza, cupidigia, perfidia, libidine, madre di tutte le calamità, dei dolori, delle rovine, impegnata a sovvertire tutte le cose umane e divine. Qual colpo è da ritenersi che essa abbia ricevuto dalla Nostra sventura e da quella del mondo intero, quando il genere umano è stato funestato da tanti lutti, e di giorno in giorno viene sempre più colpito e si scoprono i suoi disegni e le sue crudeli trame?

Ecco perché si accesero tante discordie fra il potere ecclesiastico e civile; ecco perché presso i potenti l’autorità della Chiesa venne in sospetto, se ne invidiarono le ricchezze e se ne imprigionò la libertà; perché sottratto al genere umano i presid” della Chiesa, si potessero alzare i trofei dell’empietà sulle ceneri dell’estinta Religione, a perdizione di tutto l’orbe terracqueo.

Che dire di coloro che non erano abbastanza dei Nostri ma che, deposta ogni simulazione, non solo si separarono da Noi, ma ostentando sulla fronte il carattere della bestia combatterono contro l’Agnello e condussero contro la Chiesa una guerra spietata, mentre gli altri, i nomi dei quali sono scritti nel libro della vita, si esercitarono in ogni santità, al punto che neppure nei tempi in cui la Chiesa viveva in pace si vide una così manifesta Religione fra le greggi Cristiane, una fede tanto ferma, una carità tanto infiammata? Noi ci riferiamo, non senza grande esultanza dell’animo, a tutti i Greggi della Gallia ma anche agli altri – particolarmente al Nostro di Roma –, i quali, (come ricorda San Giovanni Crisostomo riferendosi ai primi tempi) sebbene fossero stati privati di tutti i loro Pastori, tuttavia, per quella fede in nome della quale testimoniarono che appartenevano alla Chiesa, con l’assistenza di Dio che vigilava su di essi, si comportarono come se i loro Pastori non fossero in carcere. «Lo scaltro Diavolo, maestro nel tramare insidie, credeva che se avesse tolto di mezzo i Pastori avrebbe facilmente devastato gli Ovili, ma chi sorprende gli astuti nelle loro astuzie, mostrando che le sue Chiese non sono governate dagli uomini ma che i suoi fedeli credono in lui stesso e sono sempre diretti da lui, permetteva che ciò accadesse affinché, nel constatare che, tolti i Rettori, tuttavia non si distrugge la Chiesa né si spegne la predicazione della verità, ma piuttosto la s’incrementa. Da queste cose, il Diavolo e tutti coloro che lo seguivano potevano comprendere che l’ordinamento Cristiano non dipende da uomini, ma trae la sua origine dal Cielo, e Dio è colui che difende ovunque la Chiesa».

Noi, vedendo dunque che la Chiesa si arricchisce di questi beni tanto preziosi anche nel colmo della persecuzione, a gloria di Dio, che cosa dovremo sperare di essa quando, sedate le tempeste, verrà il tempo della tranquillità e della misericordia? Quando, purgata con il vaglio di Dio, provata dal fuoco della tribolazione, nobilitata dai Vostri meravigliosi trionfi e da quelli dei Cardinali Nostri Venerabili Fratelli, illustrata dalla fede, dalla costanza, dalla santità di tanti Vescovi, di tanti Ecclesiastici, di tante sacre Vergini, di tanti Monaci, e infine di tanti Cristiani si dedicherà alla gloria di Dio? Soprattutto quando, con l’esercizio della virtù, la carità Cristiana raffreddatasi nel mondo sia riaccesa per mezzo della tribolazione: la perversità della Filosofia sia respinta per i suoi perniciosi frutti, la santità della Religione sia magnificata per le sue mirabili virtù, e dalla contesa degli Eretici sia resa evidente la fede di quanti furono provati?

Imploriamo dunque per la Chiesa, Venerabili Fratelli, questi tempi di misericordia e di pace, pregando incessantemente con tutta la speranza, la fede e l’umiltà del Nostro cuore. E quantunque sia cosa certissima che essa si procura tanti vantaggi in mezzo alla tribolazione, e di tante vittorie si accresce, più di quante in nessun modo potrebbe fregiarsi se non fosse perseguitata, tuttavia, mentre si rallegra dei trionfi dei suoi forti non debba rattristarsi per le stragi e lo sterminio dei deboli i quali, posti fuori dalla tentazione, non pensando ai futuri pericoli, non hanno voluto munirsi contro le aggressioni del Diavolo ed hanno preferito servire al mondo piuttosto che a Dio, e, trascinati nella vampa della tentazione dalla spinta della licenza dominante, perduti nei loro folli pensieri abbandonarono Dio e vendendo vilmente le loro anime si consegnarono a Satana, preghiamo il Dio delle misericordie affinché – per il Sangue del suo Figlio Cristo, che è stato sparso per tutti – si riducano i giorni della Nostra tentazione. Infatti, sebbene Noi dobbiamo essere del tutto adagiati negli insondabili consigli della sapienza e della giustizia di Dio, con i quali egli realizza la propria, gloria, tuttavia fra tutte le altre ferite della Chiesa sono queste che principalmente giorno e notte Ci angustiamo e tengono in angoscia l’animo Nostro, così che saremmo ben pronti ad affrontare i mali più acerbi e ad esporre la Nostra stessa vita se per mezzo del Nostro sangue potessimo allontanare le rovine di tanti prevaricatori ed impedire i danni e le perdite di tanti deboli.

Molte altre cose avremmo da dirvi, Venerabili Fratelli, al fine d’incoraggiare i Vostri animi, ma non vogliamo oltrepassare la misura di una Lettera (essa, infatti, è già abbastanza lunga) e già tanto grande è la Vostra virtù nel sopportare la presente tribolazione, tanto che non sono i Nostri esempi imitabili da parte Vostra, ma da Noi e da tutti sono da imitare gli esempi Vostri di fede, costanza e santità.

Pertanto concluderò con San Giovanni Crisostomo che, trovandosi in una situazione simile, travagliato da un’eguale tribolazione per la Chiesa, consolò il dolente e spaventato suo Gregge con queste parole che recano l’impronta della fede e della costanza. «Molti flutti e gravi c’incalzano, ma non temiamo di venire sommersi perché siamo saldamente sulla pietra. Imperversi pure il mare: non potrà smuovere questa pietra. Si gonfino le onde: non hanno la forza di far naufragare la nave di Gesù. Che cosa dunque dovremmo temere? Forse la morte? “Cristo per me è la vita, e morire un guadagno”. Dimmi, dovrei temere l’esilio? “La terra, in tutta la sua ampiezza, è del Signore”. Temeremo la confisca delle Nostre sostanze? Nulla portammo in questo mondo e nulla quindi potremo portare con Noi; le cose terribili di questo mondo sono per me oggetto di disprezzo, e le buone degne di riso. Non temo la povertà, non bramo ricchezze: non pavento la morte, non desidero vivere se non per giovare a Voi. Perciò ricordo le cose presenti e chiedo alla Vostra carità di avere fiducia. Non esiste certamente chi Ci possa separare. “Ciò che Dio unì, l’uomo non può separare”. Se tu non puoi separare un matrimonio, quanto meno potrai dissolvere la Chiesa di Dio? Tu tenti di abbatterla non potendo recar danno a colui che aggredisci, ma in verità tu mi rendi più glorioso, e combattendo con me tu sprechi l’energia. Infatti, è per te cosa dura dare calci contro uno sprone aguzzo. Tu non potrai smussarne le punte; anzi ne ritrarrai i piedi insanguinati; come le onde non possono dissolvere la pietra, ma esse stesse si convertono in schiuma. Nulla è più potente della Chiesa, o creatura mortale; poni fine alla guerra se non vuoi disperdere la tua forza. Non far guerra al Cielo. Se tu combatti contro l’uomo, potrai vincere o potrai essere vinto. Se assalirai la Chiesa, non è possibile che tu vinca, perché Dio è più forte di tutti. “Lotteremo noi contro il Signore?”. Siamo forse più forti di lui? Dio fondò e consolidò la Chiesa; chi tenterà di farla crollare? Non ti è nota la potenza di lui? “Egli guarda la terra e la fa tremare”. Egli comanda, e ciò che vacillava resta immobile. Se consolidò una città vacillante, molto più potrà rafforzare la Chiesa. La Chiesa è più forte dello stesso Cielo. “Il Cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Quali parole? “Tu sei Pietro, e su questa costruirò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa”».

Circa quello che scriveste, Venerabili Fratelli, dei recenti attestati di pietà con i quali il Clementissimo Re d’Inghilterra continua a gratificarvi, tornò graditissimo a Noi apprendere che egli, per mezzo di quelle lettere che volle che si spedissero a ciascuno di Voi, significò che egli Vi voleva sciolti da quella legge in forza della quale tutti gli stranieri debbono partire dall’Inghilterra. Se tale onorevolissima testimonianza tributata dall’umanissimo Re alla fede e alla Vostra santità è tanto prestigiosa per Voi che la riceveste, quanto più è per colui dal quale Vi è stata data? Anche per questo Ci siamo rallegrati maggiormente. Pur non potendo in alcun modo contraccambiare a quel Re, verso il quale siamo riconoscenti, i sommi benefici che dispose nei Vostri confronti, preghiamo il Dio remuneratore che lo ricompensi per la sua generosità. Se ciò otterremo, non resterà più cosa alcuna che da Noi e da Voi si possa più ampiamente desiderare per la felicità di quel Clementissimo Sovrano e di tutto il suo Regno.

State bene, Venerabili Fratelli, e con gli esempi luminosissimi della Vostra virtù, unitamente agli altri Fratelli raminghi esposti alle prove della tribolazione, continuate ad onorare la Chiesa di Dio. Sarà per Noi cosa graditissima se anche ad essi farete pervenire questa Nostra Lettera. Infatti Vi abbiamo scritto allo scopo di confortare e consolare non solo Voi ma anche essi. Tutti infatti Vi abbiamo nel cuore, e per tutti invochiamo pace e gioia da Nostro Signore Gesù Cristo. Quale pegno del Nostro paterno e amorevolissimo affetto Vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato dalla Certosa di San Cassiano, presso Firenze, sotto l’anello del Pescatore, il 10 novembre 1798, nell’anno ventiquattresimo del Nostro Pontificato.



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